Ak2deru. Ashes to Funky
Critical text for the exhibion of Ak2deru, Ashes to Funky, curatd by Chiara Castria and Paola Quaquarelli at SpazioArte Foyer Sala Umberto in Rome, December 2019 – March 2020.
[This text is in Italian]
Ak2deru, Monosema, 2019, ashes on paper, 140 x 320 cm. Courtesy of the artist
La musica non può sottrarsi alla memoria del vivente.
T.W. Adorno
Ashes to Funky non è semplicemente una boutade; nel far riferimento a un testo di David Bowie[1], ne coglie il vezzo e – senza fargli il verso – gli risponde come se lo si conoscesse di persona da anni, con lo stesso codice.
È una battuta altrettanto dialogica e – anche in questo – musicale. Esprime un valore presente in tutto l’operato di Ak2deru; per tale ragione inviterei a pensare la stessa particella to come uno scambio, un passaggio, ove entrambi gli elementi si trasmettano l’uno all’altro, vivificandosi reciprocamente. Una “doppia cattura”, per dirla con Gilles Deleuze.
Il titolo è fortemente sintomatico del tipo di convergenza tra pittura e musica che sottende a questi lavori, un campo di ricerca che ha avuto un ruolo importante nei primi decenni del secolo scorso e il quale trova la sua ispirazione d’origine nell’ideale romantico di opera d’arte totale. Con le Avanguardie (Der Blaue Reiter, dunque Vasilij Kandinskij e Paul Klee; i coniugi Delaunay; František Kupka) l’accentuazione dell’elemento sinestetico e psicologico prese il sopravvento, si sperimentarono perciò nessi ancora più sotterranei di corrispondenza, a partire dalle singole arti.
Ak2deru, Monosema, 2019, ashes on paper, 140 x 250 cm. Courtesy of the artist
Per T. W. Adorno (1965), pittura e musica possono convergere anzitutto in quanto esse siano coscienti della loro differenza, cercando il più possibile di evitare operazioni come “assimilazioni” o “pseudomorfosi”, ovverosia senza ricalcare e ricopiare le forme l’una dell’altra, assumendole perlopiù dal di fuori. Esse devono seguire i loro principi, sprofondarli, anche tramite deviazioni, ma che siano però congeniali alla loro natura, al loro “materiale”.
L’ideale compositivo di questi lavori ha, senza un riscontro intenzionale, un qualcosa del carattere proprio di ciascuna arte che le permetta di convergere – in questo caso verso la musica – e che Adorno chiama scrittura. Il carattere scritturale è linguistico, ma altresì cifrato; costruttivo e compositivo, e allo stesso modo “crepitante”, sussultorio, “sismografico”. È perciò rivelativo del fatto che l’arte sia lingua, senza esserlo del tutto; dice di sé, ma è pure lasciata intatta nel suo ammutolire. Oltre a questo, si poggia su un duplice principio costruttivo: a partire dal materiale e dai singoli elementi della composizione (“dal basso”) e dalla visione d’insieme (“dall’alto”); principio che le permette di essere propriamente “scrittura”.
Ak2deru, Monosema, 2018, ashes on paper, 140 x 250 cm. Courtesy of the artist
Ciò che colpisce di più di questi lavori, oltre alla pura espressività, è la sapienza compositiva di derivazione musicale, ma che non imita niente di musicale in senso stretto. Il comporre un unico blocco (padronanza “dall’alto”) con una particella elementare altrettanto unica (composizione a partire “dal basso”): questo è possibile perché nel pensiero pittorico l’elaborazione complessiva ha già in sé lo scorrere di elementi essenzialmente musicali e prima ancora ritmici, come la ripetizione e la variazione. Vi sono carte dove è più evidente un vero e proprio moto contrappuntistico dovuto all’inseguirsi e riverberarsi delle linee di energia. A rigore, va notato che in alcune di queste recenti carte, rispetto al passato, ci sia come il parto di un nuovo elemento, forse più mimetico relativamente allo spartito, mi riferisco a una contrazione e rarefazione dell’unico segno in un corpo un poco più angolare, romboidale.
In ogni modo la pittura di Ak2deru – pittore e compositore – ha a cuore la differenza tra musica e l’arte visiva per eccellenza, non ha alcuna velleità di realizzare una pittura che imiti la musica, e in verità neppure la sinestesia vi trova facilmente luogo.
Il suo lavoro parrebbe prendere alla lettera la predisposizione adorniana, simula quel crepitio originario – cosa c’è di più crepitante della cenere? – e, nel frottage risultante dall’inspessimento delle carte incollate, quel “sismogramma dell’involontario”, che comporta l’allunaggio della sospirata convergenza delle arti – “convergenza” perché esse sono e saranno sempre linguaggio – ma anche l’affiorare dell’ancestrale “che anticipa ogni arte oggettivata”.