ROVINA: Giulio Bensasson
Critical text written in 2022 for TAZ/ 0,13 mq, a collaborative project between visual artists and curators inside a wooden box (40.8 x 34 x 36 cm), a 1:10 scale reproduction of the historical Spazio Y space in Rome within the exhibition Materia Nova. Roma nuove generazioni a confronto at the Galleria d’Arte Moderna in Rome.
[This text is in Italian]
Giulio Bensasson, Rovina, detail. Galleria d’Arte Moderna, Rome. Photo by Germano Serafini
Avvalorando quanto sostenuto da Carson McCullers, secondo la quale la facoltà di tenere insieme due concetti contraddittori è la prerogativa più distintiva dell’esercizio dell’intelligenza[1], è ragionevole affermare che la pratica artistica di Giulio Bensasson si muova a favore di questa attitudine. In Rovina, l’intervento realizzato per il format TAZ, così come in numerosi altri risultati della sua ricerca, l’inclinazione a sperimentare su quanto la consuetudine reputa ordinariamente in conflitto è percepibile a partire dalla tipologia dei materiali impiegati, oltre che dalla loro composizione, manifestando il grado significativo di interdisciplinarità che contrassegna il lavoro dell’autore. Così come la storia dell’arte contemporanea, per amplificare il proprio spettro espressivo, ha generato la concezione antagonista di “anti-arte”, l’operazione qui progettata dall’artista, come un ossimoro, pone in rapporto dialettico due categorie di materiali dissimili – o meglio, una materia e un materiale – al fine di giungere a destinazioni ulteriori. Il tutto, nonostante ciò, mantenendo invariata la concentrazione su alcuni degli aspetti principali del suo operare, quali un personale confronto con il genere della “natura morta”, il misurarsi su scale di svariata proporzione, l’utilizzo simultaneo di medium diversificati, l’inclusione nel dominio dell’opera di inserti vegetali o organici tali da attribuirle una propria dimensione cronologica; quindi un decorso silenzioso ma ineluttabile.
Giulio Bensasson, Rovina, installation view.
Galleria d’Arte Moderna, Rome. Photo by Germano Serafini
Sulla base di questa predisposizione generale, tuttavia radicale del lavoro di Bensasson, Rovina stabilisce compresenza fra la materia vegetale, costituita dal ricorso ai fiori, e il materiale del vetro, nello specifico quello di tipo temperato. Benché differiscano per natura e peculiarità, tali componenti, come in una crasi, entrano in sinergia, in reazione vicendevole, impostando una relazione d’influenza reciproca al punto di delinearsi come un unicum. Pertanto, sebbene a scopi del tutto analitici l’opera è stata qui introdotta a partire dalla evidente diversità dei suoi due elementi costitutivi, ritenerla scindibile nell’interpretazione sarebbe indebito poiché, nella sua restituzione complessiva, una parzialità si riscontra come condizione necessaria dell’altra e viceversa. Dunque, è proprio successivamente al riconoscimento della logica d’opposizione insita nell’eterogeneità delle proprietà, ora dei fiori e ora del vetro, che definiscono l’intervento in questione nella sua totalità – morbido/tagliente, organico/inorganico, deperibile/stabile, cromatico/incolore – nonché al cospetto di come la medesima venga stemperata nella fisica dell’installazione, che appare possibile leggere esaustivamente l’articolazione a fondamento dell’operazione intrapresa dall’artista. Difatti, pur rispecchiando il senso di contrasto innervato nei binomi di aggettivi appena elencati, si noti come lo stesso termini nel dissolversi completamente nell’estetica dell’opera che, nel mai banale tentativo di coniugare i poli di unità e differenza, giunge a trasmettere sia l’impermanenza della caducità che l’eternità dell’archetipo, sia l’asprezza della sopraffazione che la sudditanza della fragilità, sia la frizione dello scontro che la permeabilità dell’incontro.