I Limbo Paintings di Caterina Silva

by Anna Cestelli Guidi

Critical text for the exhibition Il più crudele dei mesi by Caterina Silva at Galleria Valentina Bonomo, Rome, 30 June – 30 September 2022.
[This text is in Italian]

Caterina Silva, Il più crudele dei mesi, installation view, Galleria Valentina Bonomo, Rome.
Photo: Andrea Veneri

Come suggerisce il titolo della mostra di Caterina Silva, “Il più crudele dei mesi”, tratto dall’incipit di quell’immenso poema che è The Waste Land di T. S. Eliot, ciò che accomuna questo nuovo ciclo di lavori è la suggestione di un nuovo inizio, simile a quel momento magico e potente che è il risveglio della natura in primavera. Le esplosioni di luce e colore che ci abbagliano in questi dipinti suggeriscono lo sfolgorio e l’esuberanza della rinascita naturale e, al tempo stesso, incarnano anche l’avvio di una nuova fase della ricerca pittorica dell’artista.

Lasciate dietro di sé le profondità negre di uno spazio oscuro, ora è il bianco il colore che unisce e permea di luce la grande spazialità di questi nuovi lavori. Dal bianco affiorano forme organiche in movimento, alghe aquatiche, liane aeree, filamenti vegetali e fiori che si intersecano e si rincorrono in grumi e campiture liquide di colori intensi – rosa, rosso, verde, celeste nelle loro più diverse sfumature –, amalgamati e fluttuanti nello spazio come fiori disincarnati, voluttuose esplosioni di energia vitale. Scintille di colore come suoni vibranti esplodono all’interno di un magma primordiale ancora informe, espressione di uno stadio prelinguistico dell’umanità dove immagine e parola partecipano di una stessa totalità cosmica. Mondi indefiniti, limbo sospesi dove tutto è ancora in potenza, questi liquidi amniotici originari sono dipinti sulla tela da gesti veloci, senza modelli a priori. Una gestualità che nasce nel corpo a corpo dell’artista con la tela e con l’oggetto della sua pittura, e lascia intuire una danza simile allo stato di trance, quella sincronia di spiritualità e corpo, di divino e umano, di intuizione e ragione, in cui l’energia vitale mostra anche il suo lato perturbante, la sua intrinseca ambiguità.

Caterina Silva, Windless towards summer, 2021, oil, spray-paint and charcoal on canvas, 140 x 200 cm
Photo: Andrea Veneri

Come scrive il poeta, il risveglio porta anche con sé la struggente malinconia del ricordo, “mixing memories and desire, e l’inevitabile pensiero della morte, “breeding lilacs out of the dead land”[1]. Così, pur nella loro gioiosa leggerezza e luminosità, le frequenze di questi lavori risuonano dell’inquietudine subliminale, dell’artista ma non solo, nei riguardi di questo tempo disorientante, e ci inducono a riflettere sul senso di disgregazione di un mondo, naturale ma anche politico e storico, la cui comprensione sembra sfuggirci sempre più di mano.

Per quanto ammalianti, le opere di Caterina Silva non sono naïve, né facilmente seducenti, ma esprimono un’espressività legata a un pensiero rigoroso. L’improvvisazione che la sua pittura trasmette non è casuale: intuizione e intelletto sono le guide di una pratica artistica profondamente concettuale. Non è così un caso la scelta del formato verticale di questi paesaggi-cosmi, poco più grandi della figura umana, una misura che incorpora lo spazio e lo spettatore in maniera performativa, radicale. Non è neanche un caso che i suoi lavori esistano come cicli pittorici, perché solo all’interno dell’insieme, nella loro relazione, acquista senso il gioco di assonanze e ripetizioni formali che li contraddistingue, come note di una partitura musicale o fonemi di un nuovo alfabeto.

Simile all’écriture feminine di Hélène Cixous, una scrittura dell’inconscio, ritmica e inestricabilmente musicale, così anche la pittura di Caterina Silva fluisce liberamente sull’onda di risonanze che ne costituiscono il senso. Un senso che, anche nel suo caso, mira a decostruire le questioni centrali delle convenzioni pittoriche e linguistiche consolidate: il centro della tradizione figurativa prospettica, punto focale della rappresentazione, è ora il vuoto, quel vortice luminoso, come la luce digitale degli schermi dei nostri iphone, che fa vibrare di sonorità inedite l’intera superficie pittorica; così, i misteriosi ideogrammi che alludono al recupero nella sfera visiva, originariamente e filosoficamente muta, di una phonè prelinguistica che enfatizza, come scrive Adriana Cavarero nel suo illuminante testo sulla voce, “la materialità sonora, libidinale e presemantica del logos”[2]. Le vibrazioni del vuoto e le sonorità semi-afasiche della sua pittura tendono a mettere in crisi la certezza del logos occidentale e le forme di potere che ne conseguono per dar voce all’ineffabile poetico ed erotico come atto di resistenza.

Caterina Silva, Your shadow at morning, 2021, oil and spray on canvas, 140 x 200 cm
Photo: Andrea Veneri

Ninfee contemporanee, questi lavori riaffermano la fede dell’artista nel linguaggio pittorico – Fidelity è la scritta e il titolo di uno dei quadri esposti, statement aggressivo dipinto con spray nero come a trasmettere l’urgenza della sua dichiarazione d’amore nei confronti della pittura -, nel suo potere di meravigliare e così indurre quella sospensione dell’incredulità che solo l’arte può suscitare e che è motore di trasformazione radicale di noi stessi e della realtà che ci circonda.

Totalmente in contro tendenza nei confronti di quelle pratiche artistiche politically correct che invadono l’arte e il mercato in questi tempi, la pittura di Caterina Silva respira dello stesso anelito utopico di Alighiero Boetti, sperimentatore ugualmente nomade e fuori dagli schemi: quel “mettere al mondo il mondo”, politico e poetico al tempo, che lascia intravedere un altro mondo possibile, in alternativa ai linguaggi dominanti.

Similmente, con i nuovi lavori Caterina Silva “mette al mondo” altri mondi del possibile, con un’intensità visionaria che solo la grazia, come qualità morale, può dare. Come annotava Simone Weil nel suo diario scritto in anni altrettanto disorientanti, in una delle epoche più buie della storia recente: “Non esercitare tutto il potere di cui si dispone, vuol dire sopportare il vuoto. Ciò è contrario a tutte le leggi della natura: solo la grazia può farlo”[3].

[1] T. S. Eliot, The Waste Land, 1922. Traduzione italiana a cura di Mario Praz, La terra desolata, Einaudi, 1983, p. 16.
[2] Adriana Cavarero, A più voci. Filosofia dell’espressione vocale, Feltrinelli, 2003, p.114.
[3] Simone Weil, L’ombra e la grazia, Bompiani, 2017, p. 23.
Anna Cestelli Guidi
Born in Rome, she trained as Art Historian between Rome, Siena and Berlin. Since the mid-1990s she has worked in Spain – first at the CGAC of Santiago de Compostella, then at MACBA and at the Metrònom Foundation in Barcelona. Since 2005, she is responsible for the Visual Arts Section at Fondazione Musica of Rome Auditorium where. Over the past few years, her research is focused on the relationship between sound and visual arts, developing periodical projects such as One Space / One Sound and Sound Corner at Rome Auditorium’s spaces. In 2010 she curated the sound project Italian Art To be Listened To at the NCCA in Moscow; in 2014 she curated the exhibition Score. Between Image and Sound at the MACRO Museum in Vigo (Spain); in 2019 she co-curated the exhibition Il corpo della voce for the Palazzo delle Esposizioni in Rome.