Il mio percorso

by Daniele Di Battista

A writing exercise inspired by Virginia Woolf’s essay Street Haunting (1927) during the course Elementi di comunicazione giornalistica at the Fine Arts Academy of Rome, in 2021.
[This text is in Italian]

Ho sempre scritto durante e dopo una passeggiata; quasi ogni giorno cammino per ore, ascoltando musica che non conosco e riprodotta in maniera casuale, interrompendomi, ogni tanto, solo per scrivere sul blocco appunti del mio cellulare.

Questo stesso testo è stato pensato e parzialmente scritto durante una passeggiata e, per raccontare una passeggiata che avevo fatto, tante altre passeggiate sono state necessarie affinché io potessi concludere il racconto della passeggiata che avevo scelto.

Blocco appunti del mio cellulare:

Messaggio di Rebecca: “Vediamoci alle 17:00, alle Camuzzi.”

Devo portare il gimbal a Rebecca alle 17:00 ma sono le 16:30, cosa faccio per 30 minuti?

Opzione 1: Attendo.

Opzione 2: Cammino.

Tesi: Nel caso in cui Rebecca dovesse arrivare in anticipo, non vorrei farla aspettare, soprattutto considerando che ha detto che va di fretta.

Antitesi: Mica posso aspettare per mezz’ora senza far nulla.

Sviluppo antitesi: Ma allora perché esco alle 16:30? Attendo a casa ancora un po’.

Confutazione dell’antitesi: No. Esco. In modo tale che, anche se dovesse capitare un imprevisto, comunque arriverei in orario. Nel dubbio, meglio arrivare in anticipo che in ritardo.

Quindi:

1 – Esco.

2 – Attendo.

Risoluzione: Lei arriva in ritardo.

Blocco appunti del mio cellulare:

Sono le 17:30 e non ho nulla da fare, Rebecca ha preso il gimbal ed è andata via, l’indomani farà le riprese di un videoclip, io cosa faccio?

Opzione 1: Cammino.

Opzione 2: Torno a casa.

Tesi: Ho voglia di fare una camminata.

Antitesi: Non so dove andare.

Confutazione dell’antitesi: Non saprei cosa fare a casa, in più in questo periodo di pandemia un po’ d’aria non può che fare bene.

Quindi:

1 – Cammino.

Risoluzione: Non so dove andare.

Blocco appunti del mio cellulare:

I piedi vanno da soli, parto dalle Torri Camuzzi e mi dirigo non so dove, cammino, ascolto musica, penso e, ogni tanto, scrivo. Camminando cerco, forse involontariamente, di non andare verso luoghi dove ci sono molte persone, il mio desiderio è quello di trovare strade desolate; quando passeggio mi piace stare da solo, io e la musica che ascolto, io e il caos che mi trasporta per le strade. Solitamente sono un tipo che non riesce a spegnere il cervello (da sempre estremamente matematico), ma quando passeggio è come se mi lasciassi trasportare dalle correnti di un fiume che scorre nel mare; il percorso, pur essendo invisibile (o non esistendo affatto) è, in un certo senso, definito; il mio cervello non deve fare calcoli per capire dove andare.

Blocco appunti del mio cellulare:

Mentre cammino inizio a riconoscere la strada, un po’ sorrido mentre penso a una cazzata: “Le mie gambe hanno sfruttato la propria memoria muscolare per farmi ripercorrere queste vie”.

Di Battista, io con te ho fallito. Io con te mi sento una merda.

Disse la professoressa P. vedendomi fumare sul balconcino della scuola; nessuna nota, nessuna sospensione o ammonizione, eppure quelle parole mi sono rimaste impresse per anni, ora ho smesso di fumare (solo sigaretta elettronica), forse in parte anche grazie al ricordo dello sguardo deluso della mia prof. mentre mi vede fare un tiro.

Queste parole sono state le prime a tornarmi in mente una volta arrivato davanti al luogo dove una volta si trovava il mio liceo. Non sapevo avessero abbattuto il palazzo. Vedere un buco dove un tempo c’era la mia scuola ha provocato in me una reazione “uguale e contraria”; un insieme di pensieri e ricordi improvvisamente hanno riempito quello spazio vuoto, ricreando quello che una volta era il mio istituto. Forse anche perché Portanuova (in realtà il liceo si chiamava Leonardo Da Vinci ma tutti lo chiamavamo PN, ovvero PortaNuova) è sempre stato per me uno di quei pochi luoghi dove mi sentivo a casa nonostante non fosse C-A-S-A.

Blocco appunti del mio cellulare:

(Sì, la facevo tranquillamente nei bagni del mio liceo)

Giusto mentre stavo per riprendere a camminare, un quesito mi torna in mente, tormentandomi:

Come si chiamava Gregorio VII?

Nella mia testa rispondo immediatamente: “Ildebrando di Soana!”

Ora lo so, quando mi fu chiesto no. Mi porto ancora dietro quel maledetto cinque e mezzo datomi da quello stronzetto solo perché non ricordavo che Gregorio VII si chiamasse Ildebrando di Soana.

Di Battista non ci siamo, non può dimenticarsi certe cose, è importante per me che lei abbia acquisito le conoscenze necessarie.

TU! Lettore! Sapevi che Gregorio VII si chiamasse Ildebrando di Soana? No? Eppure, probabilmente, la tua vita procede ugualmente no? NO?! Vabbè in ogni caso non è a causa del fatto che non sapevi che Gregorio VII si chiamasse Ildebrando di Soana.

(Se invece era proprio per quello, ti prego contattami perché voglio sentire la tua storia: danieledibattista17@gmail.com)

Blocco appunti del mio cellulare:

Continuando a camminare, inizio a sentire, sempre di più, rumori molto familiari, soprattutto rumori squillanti e che molti riterrebbero fastidiosi, eppure in me provocano tranquillità e uno strano senso di appartenenza.

I rumori sono scarpe che scivolano sul parquet, palloni che rimbalzano, che sbattono sul ferro o che fanno “Ciof!” (come diciamo noi “baskettari”); sono i rumori del coach che ti urla: “NANO! DEVI PORTARE PALLA!”, dell’arbitro che fischia, di te che protesti il fallo chiamato; i rumori degli schemi: “ROSSO! MAGLIA! CORNA!”; del dolore; delle urla causate dagli strappi al quadricipite. Sono i rumori delle bestemmie lanciate da campo, panchina e platea.

Tutti questi rumori ora vengono riprodotti nel mio ippocampo contemporaneamente a una proiezione di immagini sfocate (probabilmente l’ippocampo è il più bel cinema di sempre).

Sono di fronte al palazzetto di via Elettra, dove ho iniziato il mio percorso cestistico con l’Amatori Basket, proprio accanto si trova il palazzetto di via Pepe, dove l’ho concluso con L’Antoniana Basket (squadra per cui mai avrei pensato di giocare, data la rivalità tra le due società).

La mia amigdala mi ricorda quanto mi manca il basket agonistico, la piacevole sofferenza del non avere più fiato per correre, contrapposta all’adrenalina che ti permette di fare quell’ “ultimo sforzo” che non è mai veramente l’ultimo.

Però, pensandoci bene, un ultimo “ultimo sforzo” c’è stato, in qualche modo. Una volta in cui io ho fatto un ultimo sforzo è stato l’ultimo per davvero, nella mia testa si forma una convinzione, voglio che quell’ultimo “ultimo sforzo” non sia stato l’ultimo per davvero, tutto sommato ho 21 anni, posso ancora vivere tanti, tantissimi ultimi sforzi.

Blocco appunti del mio cellulare:

Prima di poter iniziare a sentire nella mia testa il coach urlare cose del tipo: “MINORATO!” oppure “FEMMINUCCIA!” (una volta urlò a un mio compagno di squadra: “CHIAMA BERLUSCONI! VINCI LA TIMIDEZZA!” o altre cose incredibili che mai avrei pensato potessero uscire dalla bocca di un essere umano e che non riporto perché penso che l’indecenza abbia i suoi limiti), mi sono riavviato verso casa; stranamente faccio un percorso più lungo, percorso che mi porta a passare davanti a Il Minuetto, il luogo dove ho studiato batteria, strumento che purtroppo ho abbandonato una volta scoperta la mia nuova passione.

La mia mano fa qualcosa che non ha mai fatto durante una passeggiata, cambia la canzone sul cellulare.

BACK IN BLACK! I hit the sack! I’ve been too long I’m glad to be back!

Rullante, grancassa, rullante, grancassa…

[…]

Yes I am

Hey yeah, yeah oh yeah

Rullante, grancassa, rullante, grancassa…

Back in now

Well I’m ba-hey hey hey hey (I’m back)

Rullante, grancassa, rullante, grancassa…

Hey hey hey hey, (I’m back)

Hey hey hey hey, (I’m back)

Hey hey hey hey, (I’m back)

Hey hey hey hey, (I’m back)

Hey hey hey hey

Rullante, grancassa, rullante, grancassa…

Back in black

Yes I’m back in black

Crash e grancassa.

Back in Black è stata la prima canzone che ho imparato a suonare, ovviamente era molto semplice la versione che mi era stata data dall’insegnante (rullante e grancassa dall’inizio alla fine, accompagnate dal charleston, e giusto un colpetto di crash alla fine).

Eppure, nonostante la sua semplicità, sferrare quei colpi sui tamburi, sui piatti, era un meraviglioso sfogo; suonare la batteria mi faceva sentire libero da ogni pensiero, da ogni preoccupazione.

Rullante, grancassa, rullante, grancassa…

Blocco appunti del mio cellulare:

Sulle note di Back in Black, Numb e 7 years (le due canzoni che ho imparato a suonare successivamente a Back in Black) ho proseguito la mia camminata verso casa; le sto risentendo anche ora mentre scrivo.

Poco prima di arrivare a casa mi sembra di vedere da lontano Filippo, che non rivedevo da luglio, e Claudia, che non incontravo probabilmente dal quinto superiore; preso da un istinto mi avvio verso di loro per andarli a salutare.

Come me, quel giorno avevano finito la sessione e, anche loro, avevano deciso di fare una bella passeggiata ma, a differenza mia, in compagnia.

Per un’ora abbiamo riso e scherzato, parlato di PortaNuova, abbiamo addirittura ricordato insieme alcuni eventi avvenuti mentre frequentavamo le scuole elementari (chissà come se la passa adesso la maestra Elena), i cortometraggi che io e Filippo abbiamo fatto insieme e, probabilmente, quelli che faremo.

Blocco appunti del mio cellulare:

Dopo aver salutato Filippo e Claudia, con la promessa che saremmo usciti nuovamente (Spoiler: non lo abbiamo fatto) mi riavvio verso casa, è molto vicina, ma forse c’è un po’ di tempo per ascoltare un’ultima canzone.

Once I was seven years old my momma told me

Go make yourself some friends or you’ll be lonely

Once I was seven years old

[…]

Rullante, pausa, Grancassa, crash e grancassa.

I always had that dream like my daddy before me

So I started writing songs, I started writing stories

Rullante, pausa, grancassa, grancassa.

Something about that glory just always seemed to bore me

Cause only those I really love will ever really know me

Rullante, pausa, rullante, Crash e grancassa.

[…]

Once I was 20 years old, my story got told

Before the morning sun, when life was lonely

Once I was 20 years old

Fill, Crash e Grancassa.

Messaggio inviato a Flavia:

Daniele Di Battista, born in Chieti in 1999, is currently living in Rome. He is a student of the course of Theories and Techniques of Audiovisual at the Fine Arts Academy of Rome, videomaker of narrative short films and video art. He graduated from the Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci in Pescara, where he began his training thanks to a workshop that allowed him to know more deeply, and in the field, the art of audiovisual. He decided to move to Rome to begin his studies in the field of art at the Fine Arts Academy, convinced that this institution could provide him with numerous possibilities in the audiovisual field. He still continues to experiment with his projects, in a continuous attempt to find his path.