Giochi di ragazzini. Quattro casi

by Andrea Respino

This text was written in 2018 as a response to the invitation by Sara Enrico on thinking how to give form to some dialogues about the artworks she was making at that time residing in New York at ISCP – International Studios & Curatorial Program.
Instead of writing a classic critical text, the author – a visual artist himself – wanted to be inspired in particular by Enrico’s drawings transforming them into a narrative path about childhood, immaturity, authority, and rebellion.
The cases are four, all revolving around kids’ games.
[This text is in Italian]

Sara Enrico, Blanket Game (ice-breaking improvisations), 2018-2019, digital drawing.

IL PRIMO

Un ragazzino che molto spesso è malato osserva dalla propria camera il cortile di casa. Può vederne una risicata porzione, all’incirca un triangolo – o spicchio quantomeno –, disegnato dagli alberi intorno. Ciononostante, grazie a quello spiraglio, riconosce uno a uno i compagni, ed essendogli nota e stranota la scena del gioco, la rivive e gestisce nella propria testa completando le azioni quasi fosse anche lui là presente. Le può casomai intuire tali azioni, e dunque, resosi conto, s’interroga circa il nesso tra prevedibilità e gioco.
Le mani in bocca, gran freddo alla pancia, da lì a poco intoppandosi sul problema del caso, o dir si voglia, destino.

Andrea Respino, I notturni, 2018, pencil on paper, 54 x 40 cm.

IL SECONDO

A cinquanta passi e poco oltre dal condominio, superato il cortile, cominciano i rovi. Essi sono via via meno folti verso il sole che acceca, ma foltissimi – un nero groviglio – se si abbassa lo sguardo. Da lì, da basso, lampeggiano di rimando singoli vitrei occhietti, nell’aria c’è un odore caldo e dolciastro di terra, che forse magari è anche plastica.

Tutti lo sanno, non si accede a quel regno di spine.
E del resto stanno lì a dimostrarlo alcuni chiarissimi segni i quali altro non sono che palloni da gioco infrattati, mezzo sciolti, simili a enormi scatarri. Saranno dieci palloni all’incirca: rossi la maggior parte; altri gialli; appena un paio di quel che forse era un blu.
Ventisei nuovi passi, lunghi e ben fatti, sono necessari a coprire l’intera larghezza dei rovi, per un’altezza la quale, variando di poco da punto a punto, non si discosta poi tanto da quella dell’uomo che in condominio ripara le cose. Un gigante costui, gran chiacchierone, nonché di modi scrupolosamente gentili – e perfino troppo secondo alcuni –, quasi che la stazza, di suo, esigesse il superamento di ogni giusta misura… Ma di ciò sorvoliamo, venendo invece al parlottare imbrogliato, nervoso, dei ragazzini. I ragazzini del cortile, ovvio! Quali ci sono in ogni sacrosanto cortile.

Beh, costoro hanno deciso, e tutto d’un tratto, di avercela a male con la parete di rovi.
O, più correttamente, avendo il capobanda maturato, da non si sa quale stimolo, un proprio convinto risentimento verso la pianta spinosa – nulla a che fare, questo è certo, coi palloni bucati –, tutti gli altri lo seguono nel suo maledire, compresi quelli che non ne hanno affatto capiti i motivi.
In qualità di leader il ragazzo muove le braccia con estremo vigore, disegnando figure concentriche. Altri invece, stringendosi la testa fra le mani, invocano il taglio del dannato cespuglio, perché a quel punto il cortile sarebbe più grande almeno il doppio per non dire tre volte tanto!
La situazione, abbiamo inteso, va facendosi vieppiù concitata tanto che pare oramai impossibile onorare qualunque tipo di gioco ed esattamente nel medesimo spazio nel quale, fino a poco prima, essi venivano tranquillamente giocati. A ciò va poi aggiungendosi, inesorabile, la sensazione che i rovi saranno presto la causa di spiacevoli eventi e che, anzi, già non lo siano dei rimproveri e castighi del presente.

Si decide pertanto di agire, compatti, e di farlo in ragione della dicotomia alto basso.
Ossia il capo ha deciso che al basso – che in questo caso è anche il debole – verrà concessa l’opportunità di sacrificarsi per tutti ottenendone in cambio un pieno riscatto. Compiuta l’impresa infatti non sarà più una minaccia alla forza del gruppo e, con minimo sforzo, potrà tralasciare le proprie restanti speranze, peraltro vaghissime, di farsi valere. La tale cosa, a dire il vero, egli tentava con sue motivate ragioni, provenienti da studi intrapresi su libri di casa, dei quali non è dato sapere ma che basterebbe così poco per capire – ne aveva tratto questa conclusione – che gli ultimi sono necessari. Perlomeno a fare gli altri migliori.
Queste motivazioni, così opportunamente calate sulla di lui situazione, potrebbero indurre a pensarla altrimenti, ma qua si parla proprio di quel piccoletto! Quello con i lacci delle scarpe slacciati.

Chiaro in testa il suo intento, il capobanda procede pertanto all’azione.
Getta il malcapitato tra i rovi, con abile slancio, convinto com’è di potercelo estrarre lui stesso un attimo dopo, accordando così la colpa dei vestiti stracciati alla pianta spinosa medesima e in tal modo instillando l’idea, nei genitori, che essa pianta, oltreché spaventosa, sia malevola in sé.
Ma assaggiate le spine e dopo alcuni fremiti interrotti sul vivo – vai a sapere il motivo –, il ragazzino lancia un grido fortissimo, malamente intonato, qualcosa di mai ascoltato nel giro di svariati cortili. Tutti a quel punto si guardano attoniti, per pochi secondi; poi un lungo silenzio.
Infine partono in coro a frignare, miseramente, e scappano a casa: chi al primo piano, chi al decimo, chi alla scala B, chi alla C. Addio dolce piano e addio pure gerarchie… Ma d’altronde – lo si sapeva sin dall’inizio – era azzardata questa faccenda, riscatto o non riscatto. Ma va’ a farlo capire a un invasato! Pensano tra sé e sé, nel rimuginare successivo, non pochi tra i ragazzini.
A districare comunque dai rovi il povero cristo scende poco dopo lo zio, una bestemmia dietro l’altra. Costui è convinto, e continuerà ad esserlo in cuor suo negli anni e a dispetto di tutto, che non ci si può aspettare nulla di buono da chi cresce senza un padre purchessia.
Non vola una mosca in cortile per i giorni a seguire, chi più chi meno messi sotto in punizione.
Ma succede, a smentir le aspettative anche stavolta, che nulla succede e che neppure un dubbio si palesa tra i genitori circa l’opportunità di quella presenza. Viene il sospetto che non si tratti di pura e semplice incuria…

Ma i ragazzini, si sa, sono in grado di avvertire le cose in modi radicalmente opposti, secondo l’opportunità, e senza per questo sentirsi in contraddizione.
In breve tempo difatti, come nulla fosse, ricominciano lieti i giochi in cortile, però a uno è venuta un’idea.
È bene specificare che a costui vengono sempre idee che hanno a che fare con l’accroccare, l’assemblare, l’allestire e via dicendo. All’opposto tutti gli altri preferiscono invece smontare, rompere e, con sommo piacere, sfasciare. Lo considerano, banalmente, un poco più affine alla propria natura.
Non si può non notare, comunque, che il ragazzino in questione, quello coi capelli corti e arruffati, certamente sporchi, a ben vedere è una femminuccia. Nel senso proprio di femmina.
Così, ad un’occhiata veloce, pare anche l’unica; sicuramente è la prima a darsi da fare.
Superato infatti certo iniziale scetticismo ciascuno attacca ad armeggiare tra i rovi, a scavare cunicoli nello specifico, secondo l’idea della ragazzina che, appunto, è proprio questa dei cunicoli. Si scava con ogni sorta di attrezzo avendo come unica regola di non far la fine dello scorticato, il quale, a tal proposito, sfoggia i capelli sempre in faccia e a malapena s’intravedono gli occhi.
A dire il vero, archiviata la faccenda, egli mostra viceversa un certo orgoglio.
Si muove sicuro, come a voler comunicare di un vincolo speciale con la massa informe, quasi lo unisse ad essa un qualche tipo di scopo; insomma qualcosa, nel suo caso, potrebbe indurci a pensare che non sia corretto dar per scontato il silenzio tra uomini e piante.
O invece sarebbe attribuire fin troppa importanza a quel modo di agire. In ogni caso forse meglio tornare ai lavori.
I lunghi bastoni aprono vigorose frazioni di vuoto tra i rovi. I corti le consolidano, permettendo rinnovati spostamenti. Un ferro rugginoso e tagliente funziona per segare, pietre per lastricare il passaggio. Rami, tubi in plastica e nylon raccattati qua e là vengono usati per sostenere le volte. Si indossano vestiti a strati e guanti uno sull’altro per evitare le spine.
In breve tempo il primo cunicolo è pronto, ed è un bel cilindro che buca la massa spinosa. A perpendicolo sul cortile, prosegue fino a una parete in cemento ammuffito.

Questa parete non s’era praticamente mai vista, benché ipotizzata nelle rare ispezioni dall’alto, dalle finestre del condominio – di tale ambigua, sospetta omissione, potremmo pensare svariate cose, che possa ad esempio trattarsi di un caso oltremodo bizzarro d’una amnesia collettiva, ovvero di vicenda artatamente montata e chissà a quale uso.
Ma i dati non sono sufficienti, accontentiamoci di vedere piuttosto cosa combina la banda.
Si scavano stanze laterali che vengono assegnate a uno e all’altro, minuscole proprietà private. Ognuno l’arreda come vuole e dalle camerette di casa – la casa coi genitori – parte un prelievo di oggetti la cui entità va crescendo al pari del rischio di venire scoperti.
Ma andrà bene.
Vedremo i ragazzini crescere, formarsi all’ombra di quegli spazi gestiti con sempre rinnovata tensione. Le radici dei rovi disseccate per mantenere strutture portanti, nuove crescite condotte a infittire la trama delle pareti cilindriche.
Infine, allestito l’ambiente centrale, dove un piccolo e secco alberello lascerà il posto a una finestra sul cielo, da lì i più saggi e virtuosi tra loro contempleranno la notte e le stelle, in tiepide sere d’estate.

Presto saranno adulti i ragazzini, poi vecchi alcuni di loro, ma soltanto uno merita ancora la nostra attenzione. Non il capobanda, né quello con le cicatrici e neppure la ragazzina. Un’altra ancora, un’amica, o come si dice l’amica del cuore – che la femmina fosse una sola nel gruppo, ripensandoci, pareva oltreché irrealistico dannatamente scontato, e allora cliché per cliché…
Quindi costei, per tutta la vita, non la lunga vita che avrebbe sperato e meritato ma appena appena una vita, celebrerà la casa nei rovi.
Stiamo attenti però, qua non si parla dei rovi effettivi, ma neppure si parla d’un qualche ricordo per quanto intensamente evocato. Bensì, portando la casa nel cuore, la nostra donna sfiderà sé stessa inseguendo un ardito sentire, nel quale ogni superficie sia accuratissima somma di aculei ed ogni contatto un miracolo, il miracolo che tale somma sottende, presiede.

IL TERZO

Viene fuori che l’uomo, quand’era bambino, aveva dato fuoco a un fienile.

Qua e là malumori, obiezioni…
Anzitutto sul fatto del bambino, in quanto sarebbe decisamente più onesto parlare di ragazzo.

Insomma, potete capire, si sta gettando un’ombra su quella carriera di benefattore.

Sara Enrico, Blanket Game (ice-breaking improvisations), 2018-2019, digital drawing.

IL QUARTO

Dopo aver esplorato con tutta calma i dintorni, e nulla trovato di qualche stimolo, il ragazzino si trova ora sulla riva del fiume.
Lo si nota parecchio così com’è, interamente vestito di bianco. La madre, è lei che decide in quel senso, avendo di proprie, ragguardevoli fissazioni. E vada per le fissazioni, lui la lascia fare, ma in cambio di permessi per uscire a giocare.

Di certo è un ragazzino, il nostro, che si presenta tutto pulito e curato, come del resto pulito e curato è pure il tratto verde di sponda su cui lo vediamo adesso saltare, o più propriamente saltellare. Che perfetta combinazione, vivace quadretto, tale che potrebbe non sfigurare tra quelli a firma del pittore locale – tipo un po’ fuori moda, il quale prova una certa vergogna e soffre per i commenti malevoli che la gente riserva alle sue attività en plein air.
Strani saltelli sta facendo il ragazzino. Volendo descriverli non si sa bene da dove iniziare. Come primo passo bisognerebbe forse capire cosa sta pensando, ma soprattutto se va pensando in effetti qualcosa. Non è impresa facile dato che non sta fermo neppure un momento.
Oggetto, in ogni caso, della sua guizzante attenzione è il fiume.
Ma che farsene del fiume se non aiuta a capire il perché di quei balzi e di quel guardare tutto eccitato? Si potrebbe eventualmente pensare, anche se ciò sa di storiella ampiamente canonica, che egli provi un fascino pressoché irresistibile nei confronti del fondale del fiume, luogo sommamente indefinito ed arcano. Che speri insomma, lui medesimo, di cacciarvi fuori qualcosa di prezioso o perlomeno dorato.

Non sembra però la via giusta. Dobbiamo ritornare a guardare, ma a farlo meglio.
Di certo non cerca pesci, sempre che pesci si possano trovare di questi tempi. Del resto l’acqua non è per nulla trasparente, quindi come vederli?
Andiamo alla superficie. Ancora niente.
Qualcosa però lo notiamo spostando nuovamente lo sguardo dal fiume al fanciullo. I suoi movimenti sembrano infatti un poco guidati, obbligati. Meglio, sembrano movimenti di riflesso.
Cominciamo finalmente a capire, sta vagliando i rivolgimenti dell’acqua, il saliscendi, il ribollire, l’affondare a mulinello e tutti quei mutamenti di superficie che non siamo minimamente in grado di descrivere – è sufficiente volgersi a un comunissimo fiume quale c’è in ogni pur timido quadretto, che immediatamente vien fuori, in tutta chiarezza, la miseria dei propri mezzi espressivi. Diciamo semplicemente così: il ragazzino segue i movimenti del fiume con gli occhi e con il corpo, lo imita in un certo senso, per quanto diversi siano poi il suo corpo e quello dell’acqua. Ma perché, c’è da chiedersi, e dove l’avrà imparato? Godiamoci però lo spettacolo, non è il caso di giustificare ogni cosa.

Eppure una creatura così, è risaputo, non può non generare alla lunga, in chi la osserva, visioni di segno decisamente contrario. Non l’avevamo notato ma proprio lì, a pochi passi dal ragazzino, il fiume precipita nel terreno attraverso un’enorme apertura in cemento.
Non si trova nessuno nei paraggi che sappia con certezza dove finisce quell’acqua. Problema secondario, da ignorare, in quanto rischia soltanto di far inceppare questa già poco chiara storiella. Il ragazzo a cui piace imitare l’acqua del fiume non ignora, in fondo in fondo, che esiste questa faccenda del segno contrario. Certo lui se la racconta a suo modo, stando ai propri di fatti, quelli che soli gli sono chiari e luminosi.
Questi fatti purtroppo non riguardano soltanto le fissazioni della madre – verso la quale, è bene ridirlo, ha un convinto e sincero atteggiamento benevolo e non soltanto di comodo. I fatti riguardano propriamente e malauguratamente uno sguardo.
Se lo seguite, al di là di quegli alberi, vedrete che lo sguardo in questione appartiene a occhi anch’essi un po’ fissi, e su una faccia troppo piccola per un corpo troppo grande.
Ora sono due i ragazzini e uno segue l’altro senza prendersi mai una pausa.

Ma veniamo di corsa al momento essenziale tra i due, il nostro Ballerino dell’acqua, o anche solo Ballerino – chiamiamolo così, non s’offenderà – e Faccia troppo piccola, giunto appena in tempo – lui diavolo d’un guardone – per inquinare un poco le cose.
Faccia troppo piccola, lo vediamo, è ora alle spalle di Ballerino, il quale sta d’appresso alla riva del fiume. D’improvviso lo spinge da dietro, in direzione dell’acqua. Ballerino precipita allora in avanti, per prime le mani. Ma lento, precipita lento.
Il fiume scorre scuro, profondo.
Le mani di Ballerino sono ormai prossime all’acqua e ugualmente le braccia. Ma l’acqua a quel punto un poco si piega, come una densa gelatina, finché nervosa restituisce l’impulso. Per conseguenza Ballerino si ritrova sulla sponda di là, quella opposta, quella che non avevamo neppure vagamente considerato. Che ingenuità… È che però sembrava pochissimo utile.

Ora – chissà come – Faccia troppo piccola è di nuovo alle spalle di Ballerino il quale, vedete, sta sempre lì alla sua sponda ordinata e pulita.
Riecco quasi uguale la spinta da dietro. Però appunto non proprio la stessa, ma differente in qualcosa che non si capisce.
Ballerino cade in avanti, lento, prima le mani e poco dopo le braccia. Nuovamente l’acqua infastidita si piega, e poi tac! Con forza restituisce l’impulso.
Ballerino però, questa volta, sparisce nella condotta di cemento.

Andrea Respino (Italy, 1976) lives and works in Turin.
In his drawings and paintings, particular objects and settings give shape to a world of men from various ages engaged in odd, recurring actions. In spite of these activities, his figures are often in an incomplete or implausible state of dress, or definitely naked. In some works, like in the series titled Fottuto Eden, the characters are actually absent, but their presence is still palpable in the surviving and ambiguous objects, and in the incongruous architecture.
His works has been presented recently in the group show Sul disegno e la pittura (Ne usciremo), at Galeria Madragoa in Lisbon (curated by Renato Leotta) and in a show conceived with Sara Enrico, Mai un vestito dunque, adeguato at Quartz Studio in Turin.
In 2018 Respino has undertaken a solo career after a ten years collaboration with Davide Gennarino. As the duo Alis/Filliol they have had solo exhibitions at Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milan, Italy (2017); Istituto Italiano di Cultura, Paris, France (2016), MEF Museo Ettore Fico, Turin, Italy (2015); GAM, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Turin, Italy, (2014); Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Turin, Italy (2013), among others. Their works have also been shown in several group exhibitions, including: Intuition, Palazzo Fortuny, Venice, Italy (2017); Être Chose, Centre international d’art et du paysage de Vassivière, Ile de Vassivière, France (2015); Codice Italia, Italian Pavilion 56th International Art Exhibition, Venice Biennale (2015) and Le Statue Calde. Scultura-corpo-azione 1945-2013, Museo Marino Marini, Florence, Italy (2014).